Memoria a breve termine: conoscere come funziona per potenziarla

Abbiamo tutti sentito parlare della memoria a lungo termine e a breve termine, e siamo rimasti tutti un po’ confusi su quali tipi di processi queste richiedono per funzionare.

Questo è il primo di due articoli che cercheranno di descrivere il funzionamento della memoria e quali strategie di potenziamento possono essere messe in pratica per ottenerne il massimo, cominciando con un focus sulla memoria a breve termine

 

MEMORIA A BREVE TERMINE: UNA STRADA VERSO IL LUNGO TERMINE (OPPURE NO)

Se si provasse a cercare un’area specifica nel cervello dove sia collocata la memoria, si rimarrebbe delusi: sia la memoria a lungo che quella a breve termine, infatti, sono costrutti teorici collegati a come e per quanto vengono conservate le informazioni.

In particolare, la memoria a breve termine può essere definita come un meccanismo che permette di conservare per un breve periodo di tempo una certa quantità di informazioni.

Quante unità può conservare? Proviamo con una semplice sequenza numerica, leggila e prova a memorizzarne il più possibile: 1-0-3-4-6-1-9-7-3-5-2-9.

Se ora chiudi gli occhi e pensi alla sequenza, sarai capace di ricordarne da cinque a nove unità: ciò accade perché la memoria a breve termine può conservare intorno a sette elementi (o slot di contenuti) alla volta. Questa capacità può variare a seconda di una serie di fattori interni o esterni: differenze personali, funzione del materiale, lunghezza delle sequenze, rilevanza emotiva degli stimoli possono tutti influenzare la capacità di una persona di ricordare.

Adesso prova a ripetere la sequenza: riesci a ricordarla? Probabilmente no, perché il tempo di conservazione per la memoria a breve termine è di circa trenta secondi, e viene influenzato dai medesimi fattori che influiscono sulla capacità di ricordare.

Se invece provi a leggere questa sequenza di lettere – A P P A R T A M E N T O – sarai in grado di ricordare i singoli elementi, ma probabilmente riconoscerai anche la parola “appartamento”. Ciò dipende dalla cosiddetta “memoria di lavoro”, ovvero quel tipo di memoria che consente di eseguire compiti cognitivi complessi – come comprensione linguistica, lettura, apprendimento o ragionamento – su informazioni conservate temporaneamente in memoria.

Cosa ricordi della sequenza numerica che hai letto due minuti fa? È completamente sparita dalla memoria, vero? Grazie all’organizzazione e manipolazione delle informazioni conservate nella memoria a breve termine, infatti, il cervello riesce a determinare se queste possano essere rilevanti o meno, e di conseguenza lasciarle scomparire – come la sequenza numerica, del tutto inutile – o trasferirle nella memoria a lungo termine.

 

AUMENTARE (LA LUNGHEZZA DEL CHUNK) UGUALE RIDURRE

Quando viene messo davanti a una sequenza numerica, ognuno vorrebbe ricordarne il più possibile. Riprendiamo in mano la sequenza iniziale: 1-0-3-4-6-1-9-7-3-5-2-9. Uno dei metodi più efficaci per aumentare la capacità di conservare dati a breve termine è la tecnica del chunking (spezzettamento), ovvero suddividere e raggruppare informazioni correlate in una serie di “pezzi”. Cosa significa in pratica? Significa che sarebbe più facile ricordare questi dodici elementi se fossero invece sei: se leggi la sequenza come 10-34-61-97-35-29, infatti, sarai probabilmente in grado di ricordare almeno cinque numeri a doppia cifra. Non è il modo in cui di solito ripetiamo i numeri di cellulare? La ragione per cui questa tecnica funziona è che è stato provato che inserire più informazioni nello stesso “slot” di memoria permette di espandere la capienza della memoria a breve termine, al contempo prevenendo il sovraccarico cognitivo.

 

DUE SENSI IS MEGLIO CHE ONE

Ora pensiamo al modo in cui hai approcciato la sequenza: l’hai letta o ripetuta a voce alta? Anche se non l’hai fatto, la tua memoria a breve termine ha trasformato i dati visivi in suoni: ciò perché si affida a stimoli uditivi per memorizzare le informazioni in modo più efficiente, grazie ad un processo chiamato “reheasal“ (ripetizione) descritto da Atkinson and Shiffrin. Questa teoria sostiene che quando i concetti vengono rafforzati con supporti audio, diventa possibile codificare le informazioni acusticamente, trasferendole cosÌ alla memoria a lungo termine.

 

ANCORA E ANCORA E ANCORA: LA STRATEGIA DELLA RIAPPLICAZIONE

Al fine di rendere stabile un’informazione nella memoria, una buona strategia è la riapplicazione di contenuti precedentemente appresi a scenari, simulazioni o test di fine capitolo. Ricordi la tua insegnante di matematica che ti faceva fare tantissimi esercizi usando la stessa formula? Probabilmente hai odiato dover fare quei compiti, ma grazie a quelli sei riuscito a ricordare la formula molto più a lungo. Collegare le informazioni a sfide nel mondo reale, infatti, riduce il rischio di decadimento della conoscenza, rendendola più rilevante e facendola percepire come utile.

 

PRIMARIETÀ E RECENTEZZA: GLI ULTIMI SARANNO I PRIMI

Tutte queste strategie di potenziamento dovrebbero inoltre tenere in considerazione in quale punto della lezione è collocata l’informazione. Sapresti dire se esiste una struttura nel cervello collegata alla memoria? E cosa abbiamo detto della tua insegnante di matematica?

Dopo aver letto l’articolo fin qui, queste sono probabilmente le due cose che ricordi con più facilità, e c’è poco da sorprendersi. È risaputo, infatti, che si ricordano gli elementi in relazione alla cosiddetta curva di posizione seriale e ai concetti di “primacy” (primarietà) e “recency” (recentezza): gli elementi all’inizio vengono ricordati più facilmente perché la memoria a breve termine ha più tempo per acquisirli, gli elementi alla fine perché dopo non viene appreso più nulla. Ciò spiega perché spesso si trovano brevi riassunti dei contenuti all’inizio e alla fine dell’unità di apprendimento, e spiega anche perché le idee più rilevanti o i concetti-chiave sono collocati agli estremi della lezione.

Ora sai tutto della memoria a breve termine. Ma cosa puoi dire della memoria a lungo termine? Scoprilo nel prossimo articolo!

  

RIFERIMENTI:
Atkinson, R. C., & Shiffrin, R. M. (1971). The control of short-term memory.

 

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